In questo articolo parliamo, in maniera molto semplice, di cosa vuol dire progettare una casa in maniera funzionale. Racconteremo delle dis-funzionalità delle case progettate negli anni 50-70 e dei minimi funzionali fissati dalla legge.
Diremo quali sono gli accorgimenti da mettere in atto per far si che uno spazio abitativo “funzioni” correttamente.

1.0. Premessa

La funzionalità nel progetto di una casa è un concetto che nell’architettura è presente sin dal tempo degli antichi romani. Marco Vitruvio Pollione nel 15 a.c. scrisse un trattato in latino, il “De Architectura”. Nel trattato affermava che nella progettazione di un edificio si doveva tenere in considerazione il raggiungimento di tre scopi: Firmitas (solidità); Utilitas (funzionalità); e Venustas (bellezza). Sin da allora, dunque, un organismo architettonico doveva essere solido, bello, e funzionale.
Il concetto di funzionalità attiene a quello di destinazione d’uso. Un edificio è funzionale quando risponde esattamente alla funzione a cui è destinato, quando cioè è ben adatto allo scopo che deve assolvere. Più un oggetto è funzionale, più è facile usarlo. Quindi, più una casa è funzionale più è facile viverci. Sinonimi di funzionalità sono comodità, efficienza, praticità, razionalità.

2.0. La casa funzionale ai tempi delle Domus

La domus romana era la casa di città delle famiglie patrizie, cioè delle famiglie benestanti romane.
Ci sono pervenuti numerosi resti di domus. Le più conosciute sono quelle di Ercolano e Pompei.
La casa romana si sviluppava attorno all’atrio (atrium), uno spazio scoperto, nel quale le acque piovane confluivano in una cisterna (impluvium), utile per avere la riserva d’acqua durante l’anno. Nelle domus più grandi, l’atrio era circondato da un porticato su tutti i lati, sorretto da colonne (peristylium). Il porticato era funzionale a ripararsi dalla pioggia quando si passava da una stanza all’altra, e forniva inoltre all’atrio una zona d’ombra nei mesi d’estate. Le altre stanze che ruotavano intorno all’atrio erano: il salotto (tablinum); la sala da pranzo (triclinum); le camere da letto (cubicula).
Similarmente a quanto accade anche oggi, nel prospetto su strada la domus aveva delle botteghe (tabernae), che spesso venivano affittate a degli artigiani. Un ingresso (vestibulum) era posto all’entrata e dava direttamente nell’atrio.

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3.0. La casa dis-funzionale negli anni della speculazione edilizia

Negli anni 60, assieme al boom economico, si assistette ad un’impennata del settore edilizio. I proprietari di imprese edili, facevano affari d’oro con il mercato immobiliare. Essi non esitavano a sfruttare finanche il centimetro quadrato dei terreni che compravano per costruirvi palazzi con appartamenti da vendere.
La speculazione edilizia faceva sorgere così case, che non avevano alcuna considerazione della salubrità degli ambienti e somigliavano più a dei buchi.
Molti intellettuali dell’epoca denunciarono pubblicamente questo modo affaristico di costruire. Lo scrittore Italo Calvino nel 1963 scrisse il romanzo “La speculazione edilizia”. Il regista Francesco Rosi nello stesso anno diresse un film intitolandolo “Le mani sulla città”.
Il Parlamento, esortato ad intervenire dall’opinione pubblica, introdusse quindi alcune leggi atte a limitare lo sfruttamento dei suoli. In quest’ottica, nel 1975 venne redatto un Decreto sui requisiti igienici e sanitari delle abitazioni.

3.1. La funzionalità a norma di legge

Certamente una camera da letto sprovvista di una finestra, e avente dimensioni ridottissime è un luogo angusto, molto poco pratico, e quindi come tale non è affatto “funzionante”. Un Decreto Legislativo del 1975 introduceva alcune regole sulla dimensione degli spazi abitativi che i costruttori di abitazioni dovevano rispettare per ottenere il permesso di costruire. Per la prima volta dunque, il concetto di “vivibilità” delle abitazioni venne fissato per Legge. Il Decreto venne concepito fissando dei “minimi” che tutte le abitazioni dovevano rispettare.
Ad esempio: la superficie della camere da letto matrimoniale doveva essere di almeno 14 mq; la superficie della camera singola poteva scendere a 9 mq. Venne fissata a 2,70 metri l’altezza minima per tutte le stanze quali soggiorno, cucina, camere da letto, etc. Mentre gli ambienti di passaggio o di servizio come corridoi, disimpegni, bagni e ripostigli, potevano avere altezza minima di 2,40 metri.

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3.2. La funzionalità minima

Le altre norme del Decreto riguardavano la ventilazione e l’areazione delle stanze, e assegnavano una superficie minima alle finestre. Inoltre, veniva stabilito che un’abitazione doveva necessariamente avere il bagno, cosa non scontata all’epoca, specialmente per le abitazioni del sud Italia. Venivano fissati anche gli accessori che un bagno doveva avere: vaso, bidet, vasca da bagno o doccia, e lavabo.
Per chi volesse approfondire abbiamo parlato specificatamente in un articolo delle regole (tutt’ora valide), che il Decreto ha introdotto sulle dimensioni minime degli ambienti.

4.0. Il corridoio dis-funzionale

Vi è stato un tempo in cui in Italia venivano realizzate case caratterizzate da un’enorme spreco di spazio. Queste abitazioni avevano in comune il fatto di avere il famigerato “corridoio”.
Nella storia, il corridoio è nato insieme alla nascita degli edifici che includevano più stanze. La sua funzione è perciò quella di servizio, poiché consente il passaggio da una stanza all’altra.
In Italia, se n’è fatto un largo uso nelle abitazioni degli anni 50, 60 e 70. Oggi la funzione di “passaggio” invece viene affidata al disimpegno, che solitamente è un ambiente molto più piccolo e meno lungo del dorridoio.
Inoltre, a permettere l’eliminazione del corridoio, è stato il nuovo carattere che il soggiorno ha assunto nei nostri tempi. Quando si entra in una casa, infatti, oggi si accede direttamente nel vano più frequentato di essa. Abbiamo specificatamente parlato di come eliminare il corridoio dis-funzionale da un appartamento, in un articolo a cui vi rimandiamo.

5.0. Progettare una casa funzionale con gli arredi

Una buona prassi per progettare una casa funzionale, è quella di verificare la pianta disegnata inserendovi l’arredamento, gli elettrodomestici, e gli accessori peculiari dei vari vani, e dei servizi presenti.
Ciò però non basta. Perché non sono soltanto gli arredi, o gli accessori, a dover rientrare nella stanza, ma devono poter essere compresi anche i gli spazi ergonomici che gli stessi arredi comportano per poter essere utilizzati.
Per spazio di manovra intendiamo quello spazio che consente ad un individuo di qualsiasi peso ed altezza, di poter sostare comodamente, ad esempio, dinnanzi ad un armadio, mentre preleva o ripone un abito.
Gli arredi, gli accessori, e gli elettrodomestici, oggi sono “standard”, hanno cioè misure più o meno fisse che le industrie di arredamento hanno stabilito nel tempo. È certamente possibile constatare qualche piccolo scostamento tra un’azienda ed un’altra. Ad esempio, la profondità di una cucina componibile è di 60 cm, e questa misura, può variare, ma solo di qualche centimetro tra i vari marchi (58÷64 cm). Per chi volesse approfondire abbiamo parlato esaurientemente delle misure standard degli arredi e dei relativi spazi di manovra, nell’articolo sulla cucina componibile.

6.0. Conclusioni

Abbiamo visto cosa significa progettare una casa funzionale.
In realtà per affrontare esaurientemente l’argomento, si dovrebbe scrivere un libro e non basta purtroppo un articolo. Possiamo tuttavia sintetizzare che disegnare una casa che funziona significa innanzitutto non contravvenire alle regole fondamentali dettate dal citato Decreto sui minimi standard abitativi. Inoltre, significa anche e soprattutto, non sprecare spazio, evitando ad esempio l’inserimento di inutili corridoi. Infine, una casa funzionale, deve essere ben “calibrata” in pianta sull’arredamento che vi si intende inserire e sui conseguenti relativi spazi ergonomici di manovra.
Se volete ristrutturare casa e avete qualche problematica dis-funzionale, potete contattarci inviando una pianta e delle foto.

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ARTICOLO DI MARIA GRAZIA MANCA Copyright ©
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